Satelliti europei per la gestione del disastro asiatico
L’osservazione da satellite dei territori colpiti dallo tsunami può fornire mappe e informazioni utili agli operatori impegnati nelle operazioni di soccorso. Che cosa sta facendo l’ESA per l’emergenza asiatica?
Il 26 dicembre la Protezione Civile Francese e l’Organizzazione Indiana per la Ricerca Spaziale (ISRO) hanno allertato l’ESA, richiedendo l’attivazione di una procedura urgente per l’osservazione da satellite di Sri Lanka, India, Tailandia, Indonesia, Maldive, Malesia, Myanmar e Sri Lanka. Il 28 dicembre si è aggiunta una terza richiesta di osservazione da parte dell’ONU, ancora a copertura di Indonesia e Tailandia.
Un operatore dell’Agenzia Spaziale Europea, nello stabilimento di ESRIN, ha identificato i satelliti che nei giorni successivi si sarebbero trovati nelle posizioni più favorevoli per osservare le zone colpite dallo tsunami, proponendo che venissero riprogrammati. Si è arrivati, in breve tempo, a schierare una dozzina di satelliti di varie agenzie spaziali, che hanno già prodotto un numero consistente di osservazioni. Accanto alle nuove immagini, si sono poi recuperate le osservazioni dell’area colpita già presenti negli archivi di dati, di fondamentale importanza per un confronto con la situazione attuale.
Si tratta di una procedura standard in caso di disastri ambientali?
È una procedura standard prevista dalla Carta Internazionale per la Gestione dei Disastri, di cui l’ESA è stata tra membri fondatori nel 1999. La Carta è un patto al quale aderiscono varie agenzie spaziali, tra cui l’ISRO, le agenzia spaziali di Canada, Francia, Argentina, Giappone e il National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti.
In caso di disastri - naturali o dovuti direttamente alle attività umane, come il naufragio di una petroliera - alcune organizzazioni autorizzate possono richiedere che le agenzie spaziali firmatarie della Carta mettano a disposizione quei satelliti dedicati all’osservazione della Terra che possono dare un contributo nel minor tempo possibile. Anche altre compagnie che non aderiscono al patto possono offrire risorse aggiuntive. È il caso, per esempio, di satelliti commerciali come Ikonos, Quickbird o i vari satelliti francesi SPOT. In particolare Ikonos e Quickbird offrono immagini con una risoluzione molto buona, che arriva fino a un metro. Mentre satelliti come Envisat hanno un’utilità soprattutto su aree più estese e per fornire informazioni che non siano soltanto visuali.
Ma oltre alla gestione dei disastri, è possibile utilizzare i satelliti anche per la prevenzione? Usando un po’ di fantasia, che scenari è possibile prevedere per un futuro più sicuro?
Allo stato attuale delle ricerche la previsione di un terremoto nel fondale oceanico è fantascientifica. Sono invece note le zone che sono più a rischio. La prevenzione, in questi casi, va cercata in un intenso sistema di monitoraggio con un sistema di boe, come viene fatto nell’Oceano Pacifico. Il meccanismo di allarme fa in modo che le popolazioni a rischio possano essere avvertite alcune ore prima dell’arrivo delle ondate di maremoto. Naturalmente fa riflettere il fatto che l’Oceano Pacifico, su cui si affacciano USA e Giappone, sia dotato di un sistema di monitoraggio, mentre invece non lo sia l’Oceano Indiano.
Le osservazioni satellitari possono dare un contributo importante nella mappatura delle zone abitate a rischio, quelle per esempio al di sotto degli 8-10 di metri sul livello del mare, oppure possono contribuire a controllare lo stato di urbanizzazione delle stesse aree.
Ma per incidere realmente la capacità tecnica non è sufficiente: occorre la volontà politica di cambiare il nostro modo di abitare il pianeta e di sfruttarne le risorse.
Quindi, almeno in parte, la sicurezze è legata anche allo sviluppo sostenibile. Ma a che punto è il progetto GMES di ESA e Commissione Europea?
Nel corso del 2004 ci sono stati segnali molto positivi: Commissione Europea ed ESA hanno definito un programma spaziale europeo coerente, che ha due dei suoi cardini nello sviluppo del progetto Galileo per la navigazione satellitare e l’implementazione dell’iniziativa GMES (Global Monitoring for Environment and Security, Monitoraggio globale per l’ambiente e la sicurezza).
Una volta che si sia recepita l’idea alla base dello sviluppo sostenibile, occorre integrare le politiche ambientali dei paesi europei per realizzare uno sviluppo che non sia sostenibile solo a parole, ma nei fatti. E per essere concreti occorrono dati e misure. Ed occorrono la capacità e la volontà da parte degli utenti finali di servirsene. E servono infine le infrastrutture in grado di semplificare lo scambio di dati, l’analisi, gli studi, garantendo alti livelli di standard nel tempo, anche dal punto di vista del formato. Entro il 2008, si punta a costituire una struttura operativa, che sia in grado di sviluppare progetti di controllo ambientale, ma anche di efficienza nello sfruttamento delle risorse.