La cartografia nell'era digitale
Le riprese satellitari hanno reso possibile il monitoraggio frequente del territorio, sia a livello globale sia per quanto riguarda le aree urbane. Ma quali sono le conseguenze pratiche di questa rivoluzione?
Le conseguenze pratiche sono molte e dipendono dal tipo di satellite che viene usato per monitorare il territorio.
Per esempio un satellite come Ikonos è assai utile per le applicazioni su scala urbana. Ikonos è un satellite commerciale che ha una risoluzione elevata, in grado di cogliere particolari fino a metro di dimensione. Quindi è capace di identificare non solo alberi o edifici ma anche loro singole componenti.
Le ottiche attuali ci permetterebbero di fare anche meglio: volendo non sarebbe difficile mettere a punto un satellite di questo tipo, che potrebbe essere uno strumento per monitorare dall’alto certe forme di abusivismo edilizio, per esempio o, più in generale, per controllare l’evoluzione regolare delle aree edificabili. È una proposta provocatoria, ma realizzabile. Su scala globale, invece, un satellite come Envisat, il satellite ambientale dell’ESA, è in grado di compiere misure di biossido di carbonio atmosferico, e quindi di tenere sotto controllo le emissioni di gas che aumentano l’effetto serra. E potrebbe essere uno dei “cani da guardia” da utilizzare nel caso in cui il protocollo di Kyoto fosse ratificato.
Si tratta insomma di conseguenze pratiche reali, che possono trovare applicazione sia per una buona amministrazione cittadina o locale, sia per problemi e questioni globali. La verità è che esistono davvero innumerevoli applicazioni, basta conoscere i problemi, le tecnologie satellitari ed avere una buona dose di fantasia e di senso pratico.
E sulla cartografia moderna si inaugura il 1 maggio, presso il Museo Correr, a Venezia, la mostra Conoscere per agire: il territorio nella società dell’informazione - dalla cartografia ai sistemi digitali. Quali gli obiettivi della mostra?
Gli obiettivi sono diversi e piuttosto ambizioni: innanzi tutto c’è un aspetto culturale di grande importanza. L’era spaziale ha completamente trasformato la nostra rappresentazione del mondo, della Terra.
Oggi siamo in grado di fotografare il pianeta da 400-800 km di quota, di sondarne gli strati superficiali attraverso i radar, di misurare lo scioglimento dei ghiacci a causa del riscaldamento globale, di controllare lo stato del buco nell’ozono. Il primo obiettivo della mostra è trasmettere questo messaggio: da satellite osserviamo il nostro pianeta che cambia. Siamo testimoni in diretta dei cambiamenti atmosferici, superficiali, oceanici. Siamo capaci di seguire giorno dopo giorno, anno dopo anno, la storia di un pianeta, il nostro, che vive.
E naturalmente questo ci dà la possibilità di chiederci se e come intervenire.
L’impressione, però, è che ancora le potenzialità della nuova cartografia non siano sfruttate a pieno. Perché?
Perché molto spesso le potenzialità non sono conosciute e neppure immaginate. E questa domanda ci riporta all’altro grande obiettivo della mostra di Venezia: è per colmare questo divario tra applicazioni e conoscenza operativa dei dati satellitari che l’ESA, da ormai da molti anni, è in prima linea ogni volta che si tratta di comunicare la cultura scientifica in generale e le sue applicazioni.
Applicazioni che spesso servono, molto concretamente, a salvare vite umane, come nel caso del monitoraggio degli effetti dei disastri naturali (inondazioni, terremoti ed eruzioni vulcaniche). Un prospettiva tanto concreta da aver spinto molti paesi alla firma di un accordo internazionale, la Charter dei disastri, che prevede la possibilità, da parte di un’autorità civile di un qualsiasi paese firmatario o di paesi associati di richiedere e utilizzare osservazioni satellitari apposite in caso di eventi catastrofici.
Ecco perché l’ESA sarà a Venezia: per far conoscere al grande pubblico, ma anche agli addetti ai lavori, ai politici, i risultati di Envisat, il progetto Galileo per la navigazione satellitare, e naturalmente la famiglia dei satelliti Meteosat di nuova generazione, il primo dei quali è ormai in fase pienamente operativa dalla fine del gennaio 2004.
I satelliti sono un elemento essenziale di questa rivoluzione nel rapporto tra noi stessi e il pianeta in cui viviamo. E l’ESA è uno dei principali attori. E l’Italia?
In ambito ESA l’Italia gioca un ruolo di primo piano, perché la sede italiana dell’ESA, ESRIN, è specializzata proprio nella gestione dei dati scientifici raccolti dai satelliti per l’osservazione della Terra. L’Italia poi ha i propri programmi nazioni gestiti dall’Agenzia Spaziale Italiana.
Ma naturalmente la “nuova geografia” nasce come fenomeno di dimensioni globali.
Oltre ai satelliti gli altri fondamentale elementi che ne hanno permesso la nascita sono la tecnologia digitale e lo sviluppo della rete: la prima ha permesso nel corso degli anni ’80, con la produzione dei primi software GIS, i Sistemi Informativi Geografici, la nascita di veri e propri archivi cartografici dettagliati, che si prestano a una molteplicità di utilizzi. I GIS, infatti, si basano su modelli matematici estremamente complessi, che utilizzano dati provenienti da differenti satelliti per l’osservazione della Terra. Anche in questo sta la loro forza: in un certo senso, tengono conto di “punti di vista” diversi, cioè di dati scientifici differenti che si integrano gli uni con gli altri.
Il WEB, poi, ne ha permesso una diffusione enorme: oggi è sufficiente il tempo di pochi click per avere a portata di mano una rappresentazione ad alta risoluzione che mostra, per esempio, depositi alluvionali, pendii instabili e così via. Informazioni che in passato costavano giorni di lavoro e richieste.