Lo spazio e l’energia
I black out energetici di questa estate stanno riportando alla ribalta le discussioni sulle fonti energetiche: si torna a palare di nucleare, ma anche di sorgenti alternative. Come si risolve questo problema nello spazio?
Il primo problema che occorre superare è naturalmente l’accesso stesso allo spazio: occorre sconfiggere la forza gravitazionale terreste, fornendo una spinta molto intensa, che permetta di raggiungere la velocità di fuga dal pianeta. Questo problema fu risolto verso la fine degli anni ’20, grazie agli studi di Goddard, che mise a punto i primi prototipi di razzi a propellenti liquidi: si tratta di energia che scaturisce da un processo di combustione, un processo chimico. La stessa tecnologia è stata poi usata per conquistare la Luna e continua ad essere alla base del funzionamento della maggior parte dei razzi vettori attuali, come per esempio lo Shuttle o l’Ariane5 che utilizzano propellente prodotto a partire da combustibile liquido o solido. Ma questo, come dicevamo, è solo l’aspetto iniziale
Prendiamo il caso di un satellite, come per esempio il satellite ambientale europeo Envisat: una volta raggiunta la sua orbita quasi polare, Envisat non ha più bisogno di utilizzare grandi quantità di propellente, perché il suo movimento orbitale è governato dalla forza di gravità. Tuttavia ha bisogno di energia che alimenti l’apparato strumentale con il quale funziona: Envisat acquisisce immagini sia con strumenti attivi, cioè “illuminando” di microonde porzioni di superficie terrestre sia con strumenti passivi, cioè raccogliendo la luce diffusa dalla Terra. E infine manda i dati raccolti verso le stazioni di Terra: tutto questo richiede energia, che nel caso di Envisat proviene da pannelli solari e dall’uso di batterie al Nickel – Cadmio, che vengono caricate dai pannelli stessi.
La situazione cambia nel caso di una sonda come Mars Express?
Mars Express è stato prima condotto su un’orbita terrestre. Poi utilizzando i razzi di cui è fornito si è dato la spinta lungo una traiettoria che lo condurrà in prossimità di Marte senza nessuna necessità di propulsione. I razzi torneranno ad accendersi quando Mars Express starà per immettersi in orbita intorno a Marte: in quel caso, però, non forniranno una spinta propulsiva, ma di decelerazione: la sonda dovrà frenare la propria corsa e lasciarsi catturare dalla forza gravitazionale del pianeta. Anche Mars Express utilizzerà pannelli solari e batterie per alimentare gli strumenti.
Uno degli aspetti più interessanti delle missioni interplanetarie, almeno per quanto riguarda l’aspetto energetico, è l’utilizzo che si è imparato a fare nel corso degli anni dell’energia gravitazionale dovuta alla presenza dei pianeti, una tecnica che va sotto il nome di “effetto fionda”. In breve l’effetto fionda sfrutta il fatto che una sonda in avvicinamento a un pianeta viene trascinata dall’attrazione gravitazionale del pianeta, mentre quest’ultimo si muove intorno al Sole. A seconda di come la sonda si avvicina al pianeta, può riceverne una forte spinta, che ne aumenta considerevolmente la velocità. Una missione come Rosetta, prevista per il 2004, e che dovrà incontrare una cometa quando questa è ancora lontana dal Sole, sfrutterà più volte questo effetto passando vicino alla Terra e a Marte.
L’energia solare è sempre meno utilizzabile man mano che ci si allontana dal sole e le batterie chimiche hanno una durata limitata. Non si utilizza l’energia atomica in questi casi?
In certi casi sì, ma bisogna intendersi su che cosa si intende per “energia atomica”: certo non si tratta di fabbricare piccoli reattori nucleari per sonde! Non esiste nessuna tecnologia in grado di farlo! Si usa invece energia nucleare “naturale”: ovvero si usano certi isotopi radioattivi, che hanno un tempo e vita relativamente breve, e che trasformandosi in altri elementi liberano energia. Questa energia viene usata per alimentare gli strumenti. È il caso, per esempio, della missione ESA/NASA Cassini/Huygens, destinata ad esplorare il sistema di Saturno e in modo particolare un satellite del pianeta gigante, Titano. Saturno, infatti, si trova 9,5 più lontano della Terra dal Sole. E questo significa che la luce solare è circa 90 volte meno intensa di quanto non sia sulla Terra. A questa distanza è chiaro che anche i pannelli solari sono ben poco utili. Oltre a batterie, la Cassini/Huygens è fornita di tre generatori di energia radioattivi, che sfruttano il decadimento del Plutonio 238.
Ma lo sviluppo tecnologico che ha portato alla produzione di pannelli solari sempre più efficienti può essere utilizzato anche per risolvere i problemi energetici sulla Terra?
Lo sviluppo tecnologico spaziale ha portato spesso dei benefici diretti sulla Terra. Nel caso dei pannelli solari sono stati sviluppati elementi che raggiungono un’altissima efficienza nell’utilizzare l’energia solare: le celle solare a giunzione tripla di Gallium-Arsenide hanno un’efficienza di circa il 25%, da confrontare con le prime celle solari al silicio, che avevano un’efficienza di circa il 16%. Applicazioni terrestri ce ne sono, ed anche di divertenti. Un progetto test è quello che ha portato alla costruzione di Nuna, un’auto interamente coperta di pannelli solari che ha vinto una corsa di migliaia di km lungo le strade soleggiate dell’Australia superando i 100 km/h e battendo tutti i record precedenti. La velocità massima nominale di questa vettura è di 160 km/h, dunque non ha molto da invidiare alle auto in commercio. È ovvio che non si tratta di una tecnologia utilizzabile così com’è. Ma con scelte politiche chiare è altrettanto ovvio che un contributo importante lungo il cammino che porta all’utilizzo di fonti di energia sostenibili e rinnovabili.