Verso le previsioni della qualità dell'aria
Mentre si rinnovano gli allarmi per il riscaldamento globale, la Russia accetta finalmente il trattato di Kyoto. Ma qual è la situazione inquinamento vista da satellite?
L’alterazione della composizione chimica dell’atmosfera legata ad attività umane è evidente, come esempio risulta dalla mappa del biossido di azoto (NO2), realizzata negli ultimi 18 mesi dal satellite europeo Envisat e resa pubblica qualche giorno fa.
Sono dati ottenuti dallo strumento SCIAMACHY, che con la sua risoluzione di 60 x 30 km riesce a distinguere la produzione di biossido di azoto dovuta a singole città. E questa produzione si vede, è ben delineata. Nei centri urbani, il biossido di azoto è emesso principalmente da centrali elettriche, da industrie pesanti, dai trasporti su strada. E questo, solo per limitarci all’Italia, si rileva perfettamente dall’analisi della carta di Envisat: Roma, Napoli, Milano sono centri di produzione evidenti. E lo stesso si può dire per le principali città europee: Parigi, Londra, Madrid, Berlino. E lo stesso accade su scala globale, con concentrazioni che sono 25-100 volte più alte del normale e che corrispondono a circa cento parti su un miliardo. Va sottolineato che ad essere allarmante non è la presenza di questa sostanza in atmosfera, perché il biossido di azoto è prodotto da sorgenti naturali come le attività batteriche o le scariche elettriche legate ai fulmini, oltre che ad attività più o meno indotte dall’uomo come la combustione di materiale organico. Ciò che preoccupa è piuttosto la sua elevata concentrazione, perché si tratta di una sostanza responsabile di problemi respiratori e di malattie polmonari. Un elevata abbondanza di biossido di azoto favorisce la produzione di ozono nella troposfera, lo strato inferiore dell’atmosfera. E l’ozono troposferico, a sua volta, colpisce il sistema respiratorio. È il responsabile di quegli allarmi che si ripetono in estate, quando si sconsiglia ai bambini e agli anziani di uscire di casa nelle ore più calde.
Ma non erano mai stati fatti studi del genere prima d’ora?
In alcuni paesi occidentali si conducono misure di abbondanza di NO2, ma naturalmente sono misure localizzate, che mancano di visioni globali.
Dallo spazio invece studi di questo genere sono stati iniziati pochi anni fa, quando è entrato in funzione uno degli strumenti a bordo del satellite ERS-2, lanciato dall’ESA nel 1995. Oggi proseguono con un deciso miglioramento strumentale: SCIAMACHY è uno spettroscopio che misura l’assorbimento della luce solare diffusa in atmosfera. I dati ricevuti dalle stazioni di Terra vengono poi analizzati dai ricercatori attraverso un metodo piuttosto complicato: dalla luce raccolta vengono tolti i segnali dovuti agli assorbimenti più intensi, come quelli del vapore d’acqua, delle molecole di ossigeno e delle molecole di azoto. Una volta eliminate le componenti principali, emerge la presenza di biossido di azoto. Sembra semplice, ma una cosa è raccontare il metodo, ben altra cosa è battersi quotidianamente con i dati.
La mappa prodotta sintetizza bene la situazione. Ma sarà sufficiente per convincere i politici a intervenire con scelte concrete?
Questa è una domanda da girare direttamente ai politici. Certamente mappe come questa, insieme a quelle dell’ozono stratosferico e dell’inquinamento da biossido di carbonio sono evidenze impressionanti di come l’uomo modifica la qualità dell’aria giorno dopo giorno.
Dal punto di vista scientifico però, la risoluzione dello strumento ci mette in grado di affrontare una sfida cruciale: distinguere, cioè, i diversi contributi delle sorgenti che emettono questa sostanza. Ci sono casi semplici: per esempio si osservano vere e proprie “strisciate” di biossido di azoto nel Mar Rosso o nell’Oceano Indiano. Sono evidentemente dovute alle emissioni inquinanti di navi a combustibile fossile. Sopra l’Africa centrale c’è una concentrazione moderata, ma molto diffusa, dovuta alla combustione delle foreste. L’eccesso rilevato in una zona del Sud Africa è legato a un concentrato di industrie energetiche alimentate a carbone sul plateau Highveld.
Balza agli occhi un concentrato molto alto di biossido di azoto anche sulla pianura padana. É un esempio di come la scarsa circolazione dell'aria aggrava l’inquinamento dovuto alle automobili e alle industrie. Insomma, dove ci sono motivi per individuare una causa specifica il gioco è semplice. Il problema è quantificare il contributo relativo di queste sorgenti.
E questo è un passo fondamentale non solo per la scienza, ma anche per le applicazioni: in futuro possiamo cercare di predire la qualità dell’aria così come prevediamo il tempo, e di intervenire inibendo le sorgenti principali di inquinamento. Ma questo spetta, come dicevi, alla politica.
L’adesione della Russia non ci fa sperare meglio per il futuro?
È una buona notizia: se la Russia ratificasse definitivamente il protocollo di Kyoto, si potrebbe passare a una fase più significativa del protocollo. Oltre alla riduzione delle emissioni, in ogni caso, sono necessari anche più finanziamenti per la ricerca. Sia per quanto riguarda le energie alternative, sia per quanto riguarda la ricerca di base. Le cose da capire sono ancora molte e il comportamento del nostro pianeta ci risulta veramente complesso.
Per esempio, è noto che le foreste sono “i polmoni” del mondo, grazie all’assorbimento del biossido di carbonio che le piante usano per la fotosintesi clorofilliana. È noto anche che, per il singolo albero, la capacità di assorbire biossido di carbonio diminuisce all’aumentare dell’età, un po’ come diminuisce il metabolismo in un essere umano. Estendendo questo risultato alle foreste, fino a qualche tempo fa si supponeva che foreste di età maggiore di circa 100 anni assorbissero tanto biossido di carbonio quanto ne emettessero.
Oggi la visione è molto più sfaccettata: secondo alcuni ricercatori, infatti, almeno fino ai 170 anni circa la capacità di assorbire biossido di carbonio si riduce molto meno di quanto si pensasse.
Non solo: recentemente si è visto che almeno nelle regioni temperate, le foreste giovani emettono più biossido di carbonio di quanto ne assorbono, per cui non funzionano dal “polmoni verdi”. Solo dopo almeno dieci anni di vita raggiungono un equilibrio tra emissione e assorbimento.
La velocità con la quale si modifica la nostra visione del "sistema-Terra" significa che abbiamo ancora molte cose da capire dal punto di vista scientifico. Dunque, come dicevo, la cura che avremo del nostro pianeta si valuterà non solo da decisioni "pratiche", ma anche – molto più prosasticamente – dai finanziamenti alla ricerca.